Tesoro, mi si è atrofizzato il cervello
Quando anche il pensiero mette il pilota automatico (e c'è sempre un motivo!)
Buon pomeriggio,
Come sono le atmosfere da quelle parti? E tu come le stai vivendo?
Io sto scrivendo dalla mia postazione preferita di questo periodo: il divano. Non è un luogo dove passo molto tempo, nel resto dell’anno, ma a Dicembre la sala si tinge di calore e mi piace passare qui le mie serate, tra le luci calde dell’interno e quelle fredde che luccicano all’esterno. Ci sto bene. Non accendiamo mai il camino, per questioni ambientali, ma ci starebbe quello scoppiettare della legna. Un attimo solo…
E quindi eccomi qui, computer sulle ginocchia, copertina, gatti e silenzio attorno.
La newsletter di questo mese parte da una constatazione che ho fatto rispetto a me stessa, di recente: ho il cervello che va di corsa.
Sai che roba, il cervello di tutti va di corsa, oggigiorno.
Lo so, ma vorrei metterci per un attimo la lente e osservarlo più da vicino, perché c’è stato un attimo in cui, a prenderne coscienza, son rimasta inquietata. C’è stato un momento, nel corso di questo mese, in cui mi son resa conto di aver letto così velocemente alcuni messaggi o testi, da cogliere una roba per un’altra (e rispondere una roba per un’altra!); una sera, leggendo un libro a mio figlio, il mio cervello doveva essere così abituato ad andare con il pilota automatico, che ha letto due parole della prima riga e le ha cucite con una manciata di parole che chiudevano la seconda. Così, a caso. E ci ho messo un po’ a rileggere la frase per intero, correttamente.
A quel punto, ho cercato di capire se la cosa mi capitasse anche altrove, oltre alla lettura, e mi sono resa conto che faccio fatica a stare su una cosa a lungo (in gergo, attenzione sostenuta, ossia la capacità che consente di mantenere l’attenzione a lungo su un compito/stimolo). Poco dopo, inizio a saltar su e fare cose, poi torno lì, la riprendo in mano, poi mi distraggo di nuovo. Ho notato che mi capita con i libri, che leggo saltando pagine e facendo immotivati avanti e indietro; mi capita guardando video, che skippo in avanti o guardo a velocità prolungata. “Non ti capita, però, in terapia” ho cercato di obiettare a me stessa “Eppure una seduta dura 45 minuti; 90 se si tratta di un gruppo. Lì capita raramente di saltare qua e là con il pensiero, distraendoti”. Vero, ma come funziona in terapia? Non hai un solo compito, bensì è un lavoro multitasking: in terapia ascolti, prendi appunti, il cervello è continuamente attivato per capire il significato sottostante ciò che la persona sta dicendo in quel momento e lo collega con le cose che vi siete già detti, agli obiettivi della terapia, agli aspetti focali. Se poi parliamo dei gruppi di terapia, le variabili aumentano. Non puoi prenderlo come esempio.
Dunque, fatico a mantenere l’attenzione sulle cose. So che non soffro di ADHD, né di un disturbo dell’apprendimento. È un periodo, ma la cosa m’infastidisce, perché mi stanca e ho l’impressione di uscire sempre un po’ insoddisfatta dalle situazioni, come se non vivessi pienamente le esperienze; ecco, più che insoddisfatta, è come se mi mancasse qualcosa, come se non le avessi vissute a fondo, assaporate a pieno, perché c’è sempre altro che mi porta via da lì, con il pensiero o con micro-azioni. Non è decisamente da me!
Ora, io non sono una fissata con la mindfulness, per cui tutto va vissuto pienamente e sentito a fondo. La uso talvolta in terapia, perché so che serve , ma nella vita sono decisamente a mio agio del multitasking. Dunque, non starò qui a raccontare di una rivoluzione in cui inizio a “vivere momento per momento” (cit.). Piuttosto, ‘sta cosa del non godermi a pieno le situazioni, del faticare a leggere un libro e non riuscire a fare un’oretta di gioco con mio figlio mi sta altamente sulle palle. Ergo, voglio vederci più chiaro.
Così, faccio con me stessa ciò che farei con i miei pazienti: mi osservo e cerco di rimettere in fila i pezzi. Lo riporto in una newsletter, perché mi auguro si possa ricavar da qui qualche sassolino utile, dato che so essere una cosa che capita a molti ultimamente, creando non pochi impicci: avere il cervello che va con il pilota automatico, senza riuscire a star concentrati su mezza cosa, è affaticante. Allora, mi è parso utile provare a mettere nero su bianco un possibile processo per capire a cosa sia dovuto e cosa si possa fare.
Ma quindi non è colpa di smartphone e social network?
Uhm…Dunque, sicuramente i social spingono sempre più verso una modalità molto veloce e si innesca poi quel circolo vizioso per cui noi stessi richiediamo contenuti veloci, ergo contenuti sempre più veloci vengono prodotti e così via. Non solo, avere uno smartphone in tasca - specie con social network installati- dà una spinta alla tendenza per cui ogni momento “sospeso”, in cui siamo in attesa o non siamo impegnati in qualche cosa di preciso venga riempito dallo scrollare i social.
Un paio di anni fa, proprio durante le vacanze di Natale, avevo staccato molto dal telefono: lo lasciavo lontani per diverse ore, guardavo pochissimo i social, il necessario le mail (ci sono pur sempre eventuali urgenze, nel mio mestiere)… e ricordo che, passati i primi due giorni, poi la mente si era come distesa. Questo ce lo raccontano anche alcune ricerche nell’ambito. Quindi, sì, i social e gli smartphone hanno un loro ruolo.
Ma difficilmente (in psicologia) una singola variabile spiega tutto e, soprattutto, i social vengono utilizzati in maniera diversa da ognuno di noi e, di conseguenza, hanno un diverso impatto a seconda della persona che li utilizza.
È necessario, pertanto, passare dal generale (i social, che “tutti” utilizzano) all’individuale.
A tal proposito, il punto diventa: al netto del meccanismo dei social, perché questa cosa fa presa su di me? Su quali meccanismi poggia? Quali miei tasti tocca? E come mai proprio in questo momento.
Diamo un’occhiata (e stavolta uso me stessa come caso clinico, come punto di osservazione).
Quando mi capita?
Mi capita nei periodi molto pieni, quelli in cui le cose da fare si susseguono e si rincorrono, in cui non faccio in tempo a terminare una lista delle cose da fare, che subito è pronta un’altra.
In questi periodi, anche quando mi fermo, è come se il cervello continuasse a correre, come se non fosse più abituato a tenere un passo più lento e quindi continua a saltare da uno stimolo all’altro. Leggo un libro, segno una cosa in una lista delle cose da fare, apro la mail, do le crocchine ai gatti…
Più in generale, fatico a stare nelle situazioni in cui c’è un ritmo lento. Se essere vengono in giornate in cui il ritmo è stato frenetico, quella lentezza mi pare proprio intollerabile.
È come se fossi incapace di disinserire il pilota automatico. Nessun problema ad avercelo, ci sono momenti in cui serve e velocizza, il problema si pone quando non si riesce più a fare uno switch tra una modalità e l’altra. Ed è come se faticassi a reggere le situazioni che, per loro natura o confrontate con il resto della giornata, paiono lente.
Quando non capita?
Abbiamo detto che non capita, ad esempio, in terapia. Il motivo sembra essere legato al fatto che lì il cervello è sempre attivo su più fronti, poiché è richiesto di svolgere più compiti insieme. Tendenzialmente, non si hanno grossi momenti di passività (nodino attorno al dito sulla parola “passività”).
Su quali meccanismi personali poggia?
In questo stesso periodo, ho avuto un’illuminazione circa i miei momenti di procrastinazione (rima!): tendo a procrastinare le cose che mi imporranno un momento carico di “cosa devo fare? Oh mio dio da dove parto? Come si fa questa roba?”; si tratta di quelle situazioni in cui non hai bene in mente il percorso, come quando si organizza un viaggio in un luogo sconosciuto e ti tocca partire da zero, farti una cultura leggendo guide e diari di viaggio. Nella maggior parte dei casi, man mano che ci sei dentro, le idee si schiariscono e il percorso prende forma. Il punto è rompere il ghiaccio, momento che io procrastino alla grande, con una morsa allo stomaco immaginando quel “Cosa devo fare? Come si fa? Non lo so”. In soldoni, le situazioni in cui mi sentirò passiva (sciogliamo il nodino attorno al dito).
Altro aspetto che mi sembra interessante è quello di riempire i momenti di attesa. Se sono in anticipo, riempio quel tempo facendo altro. Se ho una mezz’ora libera, il mio cervello passa in rassegna cose che potrei fare in modo che non rimanga vuota.
Uniamo i puntini
Apro i social quando mi sento passiva
Il mio cervello inizia a cercare distrazioni (vie d’uscita, chiamiamole con il loro nome!) nel momento in cui sente che la situazione è passiva. Un gioco o una conversazione poco stimolante, la lettura di un libro (che di per sé non è passiva, ma lo diventa se confrontata con giornate piene di roba da fare, sempre a 1000 all’ora), una persona che fa 8000 giri di parole per arrivare al punto…
Non capita nelle situazioni che, per loro natura, mi permettono di rimanere sempre attiva (es. il lavoro di terapia).
IL PUNTO FOCALE È: Ho un bisogno di rimanere sempre abbastanza attiva (questo, va beh, per ragioni connesse alla mia storia di vita) e quel distrarmi in situazioni più lente può essere riletto come la ricerca di una via d’uscita. La faccenda diventa più forte ed evidente nei periodi frenetici, perché è come se si alzasse l’asticella.
Ecco qui che, avendo osservato più da vicino il processo, anche il “come fare” risulta un po’ meno appannato.
Cosa fare
Risulta necessario rispettare entrambe le parti: quella che nella passività e nella lentezza non sta benone e quella che, tuttavia, si affatica e appesantisce a far correre sempre il cervello qui e là.
Nel momento in cui non si trova un accordo tra le due parti, abbiamo visto che il risultato è una fatica e un forte insoddisfazione.
Quale può essere l’accordo? Intanto notare il momento in cui si cerca affannosamente la via d’uscita da una situazione lenta e capire cosa si può fare per movimentarla, ovviamente tenendo conto dei vincoli che la realtà pone e del fatto che non siamo onnipotenti. A volte basterà una pausa, notare cosa stia accadendo e riprendere (ad esempio, durante la lettura di un libro); altre volte, si può pensare di “mettere un po’ di pepe” nella situazione (esempio, ravvivare un gioco con mio figlio o proporne un altro) oppure di concedersi un tempo -pensato- per uscire di lì e poi tornare (esempio, mentre gioco con mio figlio, posso fare una pausa e tornare).
Questo è il mio processo. Non è uguale per tutti e non vuole diventare una guida da seguire pedissequamente, quanto fornire uno spunto di riflessione per provare a capire il proprio personalissimo pilota automatico o il proprio atrofizzarsi del cervello, quello che impedisce di leggere/conversare/guardare tv senza vie di fuga.
Capita anche a te, caro lettore/cara lettrice di questa newsletter? Hai mai fatto caso a quali potrebbero essere i motivi sottostanti? Su quali tuoi tasti poggia questa dinamica?
Come sempre, se ti va di condividere le tue riflessioni sono qui! =)
Questo mese non ho risposto a una delle vostre lettere, avendo usato un mio spunto per lanciare qualche sassolino.
GLI ULTIMI EPISODI DEL PODCAST "TV THERAPY"
Quello dove…Reservation Dogs ci parla del suicidio dal punto di vista di chi rimane
Quello dove…Frasier ci spiega perché abbiamo paura del conflitto
Quello dove…come si affronta un lutto?
E per questo mese è tutto, ci rivediamo il 13 gennaio con una nuova newsletter che non stressa (si spera!), ma come sempre passo prima per gli auguri di Buon Natale!
Mi capita spessissimo, essendo il re dei procastinatori. Infatti sono riuscito a leggere per intero la mail solo adesso, il 3 gennaio, dopo almeno tre volte in cui ho cominciato a leggerla e poi mi sono interrotto per fare altro.
Potrei dire che stai parlando di me in questo periodo. Mi ritrovo in ogni parola. Ho il cervello che viaggia e fa fatica a STARE laddove la situazione è più "passiva". Nel mio caso quella passività è come se non mi fosse concessa (dalla mia mente e dai miei vissuti/convinzioni), come se fosse un perder tempo e non fossi produttiva abbastanza. Anche se questa cosa la so, non riesco ad "attuarla", lo stare ferma e passiva è una cosa che non posso "meritarmi/permettermi", perchè se sto ferma e passiva, non sono abbastanza. Diventa un tormento così, perchè ad oggi, fine dicembre, sento una stanchezza fisica, emotiva e mentale a livelli cosmici. E boh, il pensare "Non mi manca niente" "sei ok così", "sei abbastanza", "non devi fare per forza qualcosa per avere valore, ce l'hai a prescindere", NON MI ENTRA IN TESTA, ho la consapevolezza, ma non riesco ad accettarla e accoglierla. Fuuu, che fatica.