Buon pomeriggio,
Come va da quelle parti?
La lettera di oggi parla della sensazione di sentirsi fuori posto. A me capita raramente ormai (fortunatamente!), ma l’ho provata spesso, da bambina. “Mamma, mi vergogno”, dicevo. E lei rispondeva: “Ci si deve vergognare solo quando si fa del male a qualcuno”. Frase di cui coglievo il senso nobile, certo, ma intanto continuavo a vergognarmi. Mi sono travestita tante volte da ciò che non ero, per essere sempre “un po’ più…un po’ meno…”.
Probabilmente, ho smesso di provarla quando ho cominciato a portare me stessa nei luoghi in cui mi trovo. Colloco l'inizio di questa consapevolezza in un pomeriggio - avrò avuto 25 anni o giù di lì- in cui mi trovavo davanti a un professore abbastanza noto nel nostro ambito, uno di quelli che, solo con il suo nome, ti fa sentire un po’ in soggezione (in realtà, è una persona molto alla mano e carinissima). Avevo fatto un paio di battute e avevamo riso tutti insieme. Ricordo ancora il pensiero che mi è passato per la testa: "Ma quindi posso farlo, posso essere sempre me stessa, senza dovermi travestire da seriosa per sembrare più seria, per essere presa sul serio?". Il seria, ma non seriosa è un mio grosso punto fermo.
Questo approccio l’ho portato anche nel lavoro attuale. La mia amatissima tutor mi ha aiutato a capire, a suo tempo, che possiamo fare psicoterapia portando noi stessi in quella stanza. E i miei mentori successivi – dalla scuola di specializzazione (quella di Zapparoli, l’Iserdip), a un inconsapevole Yalom e svariati altri– hanno consolidato l'idea che non solo possiamo, ma dobbiamo essere noi stessi in terapia: è la naturalezza del terapeuta. E, in effetti, mi sembra che i miei pazienti mi conoscano davvero, anche se sanno poco o nulla di me. Ci respiriamo. Credo accada anche con chi, come te, legge questa newsletter o chi mi segue su Instagram o nel podcast: ho una forma, è la mia.
Ci sono le volte in cui mi interfaccio con ambienti che non sono decisamente i miei (quelli in cui tutti se la credono un po’, ad esempio). Lì devo fare uno sforzo per rimanere “me stessa”, è faticoso non deformarsi, perché si sente quasi una pressione esterna a cambiare forma. E, di quei momenti, la cosa che più apprezzo è il tornare a casa la sera, dalle mie persone, e sentire che nessuno mi chiede di essere altro. Ho l’immagine di me che mi infilo nel letto e mi sento a casa. Quando mi trovo negli ambienti “poco miei”, la mia mente va agli amici di sempre, quelli con cui facciamo l’aperitivo, senza dover parlare dei massimi sistemi e tutti sanno chi sono, senza che debba trovare la formula migliore per spiegarglielo. Sono a casa. Il mio posto. A mio agio. Queste riflessioni, sul mio sentirmi a casa o fuori posto, sono scaturite dalla lettera a cui ho scelto di rispondere questo mese. Spero sia uno spunto anche per te!
Prima di passare alla lettera, do piccola info di servizio: abbiamo ancora un paio di posti per iniziare un percorso nei gruppi di TV Therapy. Qui tutte le info.
Il gruppo per cui stiamo facendo i colloqui conoscitivi è quello del martedì alle 12:00 (dura 1h e 30).
Se siete interessate/i, potete scriverci all’indirizzo info.tvtherapy@gmail.com
Ciao Alessia,
Leggendo la newsletter*, ho realizzato che ovunque mi trovi ho la sensazione di essere fuori posto. Con gli amici, al lavoro, persino in famiglia… come se fossi sempre un po’ ai margini, come se non riuscissi mai davvero a sentirmi parte di qualcosa. A volte penso che sia solo una mia impressione, che dovrei sforzarmi di più, ma altre volte mi chiedo se il problema sia davvero mio, se c’è qualcosa di sbagliato in me. È sempre stato così, fin da quando ero piccola. Vorrei riuscire a sentirmi a casa da qualche parte, ma non so nemmeno da dove iniziare. È normale sentirsi così?"
B.
*Fa riferimento alla newsletter del mese scorso: “Ho paura di rimanere sola per sempre”
Cara B.,
Capisco quanto possa essere faticoso sentirsi sempre un po’ ai margini, come se mancasse quel senso di appartenenza che sembra venire naturale agli altri (che poi: verrà davvero così naturale a tutti gli altri? È sempre stato naturale per loro o è un lavoro continuo e costante?). Capisco anche il dubbio: è solo una mia impressione o c’è davvero qualcosa che non va in me?
Forse, come spesso accade, il punto sta un po’ nel mezzo.
Mi racconti che è così da sempre, sin da quando eri piccola. Qual è il tuo primo ricordo legato a questa sensazione? Prova ad ascoltare il tuo corpo: dove senti la sensazione di essere fuori posto e com’è? Come la descriveresti?
Ci sono momenti, anche brevi, in cui ti sei, al contrario, sentita pienamente parte di un gruppo, di una relazione, di un ambiente? E se sì, cosa li rendeva diversi dagli altri? Se no, come immagini potrebbe essere sentirsi davvero a proprio agio con qualcuno?
La parola che mi rimbalza all’occhio, della tua lettera, è “sempre”. Perché capita a tutti di sentirsi fuori posto, ma se sappiamo definire in quali situazioni ci accade, se sono circoscritte a situazioni definite e riconoscibili, allora è semplicemente un cattivo match: io sono fatta in un modo e ci sono situazioni che, essendo lontane dal mio modo di essere, mi fanno sentire scomoda. È naturale accada. Poi, certo, è interessante andare a vedere quali siano le situazioni in cui accade, perché raccontano (anche) di noi: come mai sono a disagio proprio in queste situazioni qui? In quali punti stridono rispetto al mio modo di essere?
Ma se è sempre… Se davvero si tratta di sentirsi sempre fuori posto, allora è possibile che sia un costante vissuto interiore di cui cerchiamo conferma/disconferma all’esterno. Insomma, siamo noi a portarla in giro quella sensazione lì, non è l’incontro con l’ambiente a generarla (la rende visibile, ma non la genera).
Qui potresti prendere, a titolo d’esempio, 3 situazioni in cui ti sei sentita fuori posto (la prima che ricordi, la più recente, la peggiore della tua vita) e domandarti: come mi sono sentita in quelle situazioni? Cosa ne pensavo? Qual è il filo conduttore tra le tre? Se osservi il modo in cui le descrivi, siamo già a cavallo: ci mostrano uno spaccato del tuo mondo interiore. Ad esempio, dire “sento che tutti mi guardano e mi trovano sgraziata” oppure “gli urlerei in faccia che sono dei cretini” o “ho l’ansia di sbrodolarmi addosso e apparire stupida” sono tre diversi punti di partenza e ci danno un diverso spaccato del tuo mondo interiore, delle paure e delle ansie che lo abitano.
A volte, il sentirsi fuori posto nasce dall’abitudine a osservarsi da fuori, come se invece di vivere le situazioni le analizzassimo con un occhio critico, chiedendoci continuamente: “Sto facendo la cosa giusta? Sono come dovrei essere?”
E qui ti chiederei: Ti capita mai di sentirti un po’ “spettatrice” della tua vita? Attraverso quali lenti e quali standard la stai valutando? A chi potrebbe appartenere quel metro di valutazione? C'è qualcuno nella tua vita che potrebbe fare valutazioni simili? E proseguiremmo con: dove hai imparato che per appartenere bisogna essere in un certo modo? È possibile che, da qualche parte nel passato, hai sentito di essere diversa rispetto agli standard familiari o sociali, o che per essere accettata dovessi adattarti, cambiarti, ridimensionarti?
In altri casi, il sentirsi fuori posto nasce dalla paura del mondo esterno, che possa mostrarsi cattivo con noi o che possa escluderci. In tal caso, la tua descrizione poserebbe la lente più sull’Altro che su di te, mostrano un’abitudine a osservare da fuori: “Mi immagino che mi giudichino, li vedo tutti più alti di me, più bravi e immagino che mi deridano”. Mette molta ansia fare questi pensieri, vero? Raccontami un po’ di quell’ansia lì, ti chiederei. E probabilmente finiremmo a parlare dei vari episodi di vita in cui hai visto gli altri giudicanti e deridenti. Andremmo indietro fino all’ambiente familiare, perché spesso è lì che nasce, e ti chiederei: che atteggiamento avevano nei confronti del mondo esterno? Quando si andava fuori a cena o a casa di altri, qual era il comportamento? Chi erano le persone apprezzate e chi era giudicato negativamente? E con te come si ponevano? C’erano mai giudizi sul tuo modo di fare, di vestire, di parlare? Magari verrebbe fuori quella volta in cui hai sentito una vergogna incredibile…
A volte, il sentirsi fuori posto è il punto di partenza, non il risultato. E, in tal caso, è attraverso le lenti del “sono fuori posto” che si legge il mondo, che ci si guarda allo specchio, che si dà una valutazione su di sé. A volte lo si fa per senso di inadeguatezza (“Non sono mai davvero abbastanza per gli altri o per i luoghi in cui mi muovo”), in altri casi perché questo permette di sentirsi speciali (“Sono un outsider, nessuno è come me!”, ossia sentire che gli altri non sono mai abbastanza per noi). Dove vira la tua lente? Il focus del tuo “lamento” è su di te o sugli altri? Quel “fuori posto” che connotazione ha e chi coinvolge? Non è una valutazione così semplice e immediata da fare.
C’è un ultimo punto che mi viene in mente. A volte crediamo che il senso di appartenenza sia qualcosa che arriva dall’esterno: trovare il gruppo giusto, le persone giuste, il contesto giusto. E se l’appartenere fosse più una sensazione interna che una conferma dagli altri? Se invece di cercare dove incastrarti, provassi a chiederti: in quali situazioni mi sento più autentica? Dove riesco ad essere me stessa senza sforzo?
Forse la questione non è tanto trovare il posto giusto, ma permetterti di abitare te stessa pienamente, ovunque tu sia. Riconoscendoti che ci sono luoghi che più ti si addicono e altri meno.
Ovviamente, non significa poter fare tutto ciò che vogliamo quando vogliamo, non significa stare solo nei posti in cui stiamo bene, ma potersi guardare in maniera più autentica, sapere quali sono gli ambienti in cui ci piace stare e in quali dobbiamo stare, nostro malgrado. Saperli abitare sentendo di non cambiare forma in base al contenitore, ma dandoci una continuità (su questo, il 22 marzo uscirà un episodio del podcast che utilizzerà Severance, per capire meglio il filo conduttore che ci rende “continui”, flessibili ma non frammentati, pur in luoghi e situazioni differenti). Avere a mente cose come: “Essere fuori posto rispetto a chi o cosa? Se non ci fosse un modello di riferimento a cui aderire, cosa cambierebbe per me?” è fondamentale per sentirti sempre dentro a un posto: te stessa.
—
E tu, caro lettore o cara lettrice, come vivi la faccenda del sentirti fuori posto? Ci sono luoghi che senti “casa”? Ci sono situazioni che, più di altre, ti mettono a disagio?
Come sempre, se ti va di condividere qualche riflessione, son qui!
GLI ULTIMI EPISODI DEL PODCAST "TV THERAPY"
Ve li linko qui sotto, così non dovete stressarvi a cercarli:
Si può davvero perdonare? Ce lo racconta Shrinking.
La solidarietà femminile, quella vera e autentica, esiste davvero? Ce lo racconta per bene “The good wife”
Avete mai fatto un sogno lucido? Se non sapete cosa sia e a cosa serve…ve lo racconta Dream Productions
Ma le relazioni sane…esistono? lo vediamo con Nobody wants this
Ogni tanto i pazienti mi raccontano di trovarsi in un’impasse: lamentano di non avere tempo libero, ma quando lo hanno rimangono a girare su sé stessi, come fosse difficile trovare idee per impiegarlo. In tutta onestà, capita spesso anche a me.
Quando trovo un’idea carina in giro, la segno in una apposita nota dello smartphone, che è una sorta di lista delle cose che mi piacerebbe fare o che anelo a fare, nei periodi in cui mi sento piena. Ai pazienti, suggerisco di farlo anche fisicamente: un barattolo in cui inserire tutte le idee delle cose che vorrebbero fare e di estrarre un bigliettino ogni volta in cui ne hanno occasione.
Ecco, in questo spazio sottostante, raccolgo le idee di cose fatte, viste, ascoltate nel corso del mese ed eventualmente qualche appuntamento interessante per i mesi successivi. Se ti va, puoi pescare da qui per i tuoi piccoli grandi momenti di respiro.
📚 Anche questo mese ho letto principalmente cose relative al mio ambito di lavoro e seguito un paio di corsi che mi interessavano, quindi il tempo per la lettura è stato risicato.
Di contro, ho quasi sempre un podcast acceso. Questo mese ho scoperto:
🎧 Orazio, Il Post (ma fruibile gratuitamente su tutte le piattaforme). Matteo Caccia parte da una notizia di attualità e la usa per collegarsi ad altre storie. Si tratta di storie di persone meno conosciute, in cui ci possiamo facilmente immedesimare e che possiamo sentire vicine. Io impazzisco per le storie più piccole, quelle che le ascolti e pensi “porca miseria, sembrava una persona qualunque e invece guarda qui che interessante”. Perché in fondo “Ogni storia merita un romanzo” (semicit. dal titolo di un libro).
I podcast sempre in ascolto: Globo (Eugenio Cau mi insegna a capire il mondo e io lo consiglio a chiunque: per quanto racconti cose terribili, è sempre tranquillizzante proprio perché permette di capire e di avere lungimiranza…poi la voce: uno Xanax vivente!), Morning, Ci vuole una scienza, Rame, Ma perché? .
…e quelli spesso in ascolto: The essential, Stories, Qui si fa l’Italia, Start, Globally, Un pasto alla volta, Mitologia: le meravigliose storie del mondo
📺 One Piece. Che non è esattamente il mio genere, ma il tizio accanto a me sul divano la stava guardando, mentre io smanettavo al pc, e quindi… l’ho un po’ vista anche io!
📺 Masterchef. Che è finito da poco e io mi domando, spersa, che cosa faremo ora il giovedì sera. In questi momenti, sento la mancanza del palinsesto, degli appuntamenti fissi, del “TV sorrisi e canzoni” che, cartaceo antenato del catalogo dei servizi streaming, ci indicava come avremmo potuto occupare la serata.
📺 Da 6 a 9 mesi - Erika Zeni. Un corso per scoprire le tappe motorie e cognitive del bambino, con una serie di idee di attività da fare insieme a loro. Ovviamente, esistono anche i corsi dalla nascita ai 3 mesi, 3-6 mesi e oltre l’anno.








Per info e iscrizioni:
💌 info@centroilfico.com
☎️ 375 550 4163 (anche WhatsApp)
E per questo mese è tutto. Ci risentiamo il 13 aprile con la prossima newsletter con non stressa!
Ciao Alessia! In passato mi sono sentita fuori posto in diverse situazioni e con varie persone, sia con conoscenti e sconosciuti sia con amici stretti e familiari. Anche quando mi sono trasferita all’estero per un periodo oppure quando ero con la famiglia di mia madre nel suo paese di origine, mi sono sentiva spesso e comunque fuori posto. Spesso era una sensazione che non cambiava indipendentemente dal luogo in cui fossi e con chi fossi. In tutto questo, devo dire che ho cominciato a sentirmi bene solo dopo aver cominciato a fare psicoterapia, perché ho imparato a conoscermi meglio, ora se provo una sensazione di disagio ne sono consapevole e penso se qualcosa o qualcuno fa per me o no. Sento inoltre che è quasi scomparsa quella sensazione di voler fuggire e andare lontano.