Ho paura di rimanere sola per sempre
E la paura che non otterremo mai ciò che speriamo per noi
Buon pomeriggio,
Come va da quelle parti?
L’altro giorno sono entrata in studio e l’ho trovato immerso in una luce meravigliosa, di quelle che ti fanno sentire in pace col mondo. Sono rimasta sulla soglia per un momento, semplicemente osservando, e ho sentito dentro di me una sensazione chiara e profonda, mi ha colpita alla pancia: mi sono sentita a casa.
Mi è venuto in mente quanto sia difficile, a volte, lasciare andare qualcosa o qualcuno. Non perché sia necessariamente giusto per noi, ma perché è familiare, conosciuto. Il distacco fa paura, ci mette di fronte al vuoto dell’incertezza. Ma poi, quando finalmente approdiamo a ciò che abbiamo scelto davvero, ci accorgiamo che la fatica stava solo nel lasciare il vecchio, non nell’accogliere il nuovo. Perché quando il posto è quello giusto, lo senti: c’è una familiarità immediata, un senso di appartenenza, di voglia di restare.
E forse è proprio per questo che, quasi senza accorgermene, ho riempito uno sportello della madia con snack per le lunghe giornate, ho lasciato un paio di scarpe e comprato il caricabatterie… perché quando ci sentiamo davvero a casa, smettiamo di trattenerci e iniziamo a radicarci.
Mi piace sentirmi a casa. Mi piace provare quella sensazione nei luoghi che frequento e con le persone a me vicine. E, a tal proposito, la lettera di oggi forse parla anche di questo e quanto la paura di rimanere da soli sia connessa alla paura di non provare quella sensazione di casa.
Prima, però, piccola info di servizio: abbiamo riaperto i colloqui conoscitivi per iniziare un percorso nei gruppi di TV Therapy. Qui tutte le info.
Il gruppo per cui stiamo facendo i colloqui è quello del martedì alle 12:00 (dura 1h e 30). Abbiamo ancora un paio di posti liberi e poi partiamo.
Se siete interessate/i, potete scriverci all’indirizzo info.tvtherapy@gmail.com
Cara Alessia,
Ho 37 anni e ho paura di restare sola per sempre. Tutti intorno a me si stanno sposando, fanno figli, costruiscono famiglie, mentre io mi sento ferma, come se avessi perso il treno. Ho avuto storie, ma nessuna è durata davvero. Mi chiedo se ci sia qualcosa di sbagliato in me, se sia destinata a restare sola. Non voglio accontentarmi, ma allo stesso tempo ho paura che aspettare la persona giusta significhi non trovarla mai. Come faccio a gestire questa sensazione di fallimento?
Grazie,
M.”
Cara M.,
Capisco bene il tuo senso di smarrimento e la paura di restare sola. Me lo raccontano quotidianamente i pazienti, specie dopo i 30-35 anni: ho l’impressione di un’epoca storica in cui dilaga un enorme senso di solitudine e di insoddisfazione. Forse concorre anche il fatto che viviamo in una società che associa determinate tappe della vita – il matrimonio, i figli, un lavoro sicuro – a un senso di “normalità” e di riuscita personale. Quando il nostro percorso non rientra in questi schemi, è facile sentirsi fuori posto, quasi come se fossimo rimasti indietro rispetto agli altri. E la maglia dell’insoddisfazione credo si allarghi perché oggi, qui in Occidente, è davvero possibile avere accesso a tutto, tutto pare accessibile e quindi “potrei avere anche io quelle cose lì e se non le ho mi sento tanto insoddisfatto. E fallito. E solo. E sfigato, perché tutti gli altri le hanno (l’ho visto sui social!)”.
E tu mi dirai: “Non è che mi stai propinando il discorsetto motivazionale, eh?”. No, giuro di no, mi fan venire l’orticaria. Ma allo stesso tempo vado fuori di testa (nel senso che mi dispiace molto) quando sento quel senso di insoddisfazione costante, quello che fa vivere l’intera esistenza come un peso, quello della costante attesa: il vivere sempre in costante attesa di qualcosa, senza mai sentirsi pienamente appagati e soddisfatti. Mi manda fuori di testa, forse, anche perché ho un’attitudine alla meraviglia: è difficile che qualcosa mi sembri scontato, mi sembra di trovare ogni giorno qualcosa di cui godere (“capacità di godere” termine focale in questa mia lettera di risposta). E ho l’impressione di avere questa attitudine non perché io appartenga alla corrente dei contenuti motivazionali (mi repellono!), ma perché ho a mente -da buona originaria ligure, visto che la maggior parte dei liguri vive con la nostalgia e il mugugno nel cuore- tutti i mali del mondo, le cose che potrebbero non andare, le cose che generano dolore e insoddisfazione. E, avendole a mente, mi godo il resto come una che l’ha scampata bella! E allora vorrei portarla anche nelle vite degli altri, dei miei pazienti, della mia mamma, che è la persona che più di tutte mi ha insegnato a “non perdere mai il bambino che è in te” e, allo stesso tempo, sembra sempre così insoddisfatta, come se le mancasse sempre qualcosa, sentendo sempre che c’è un posto in cui vorrebbe tornare o qualcosa che la fa arrabbiare…e a cui vorrei tantissimo regalare quel senso di meraviglia che mi ha insegnato, senza mai farlo diventare totalmente suo. Quel senso di meraviglia che porto sempre in tasca e sulla faccia, sotto forma di sorriso, manco fossi Pollyanna. Ecco, leggila così, questa mia risposta: come un desiderio di poter portare un pizzico di meraviglia in quella tua insoddisfazione, una mano calda che ti aiuti a risollevare quel senso di fallimento.
Ma occhio! Non è un invito a colorare tutto di rosa dimenticando le cose brutte (non sono così Pollyanna, ho bene a mente i mali del mondo, dicevo). So che in quel momento, quello in cui il treno va veloce, la paura di rimanere da soli (o, più in generale, di non ottenere ciò che si spera per sé) toglie l’aria. So che sembra di aver buttato via un’intera esistenza, di aver sprecato la propria unica vita o di vederla incagliare in qualcosa di insoddisfacente. E fa un male cane. Lo so: lo vedo negli occhi di molti pazienti e di tante persone intorno a me, che giorno dopo giorno sentono di ingrigire un po’ di più.
Proviamo, però, ad aggiungere un pezzo a quell’immagine. Prova a figurarla come una bilancia a due braccia: da un lato ci sono le cose negative e insoddisfacenti, le cose che desideri e ti mancano (quelle che mi racconti nella tua lettera e, forse, molte altre). Scrivile tutte sul braccio della bilancia e senti quanto è pesante. Ora, però, immagina l’altro braccio della bilancia, quello delle cose carine/piacevoli/godevoli/soddisfacenti/meravigliose (ha molte sfumature, il “bello”): se rimane vuoto, il braccio delle cose insoddisfacenti ti crolla sulle spalle in modo inesorabile, ma se iniziamo a riempire l’altro braccio, ecco che il “braccio brutto e insoddisfatto” mantiene il suo stesso peso, ma è bilanciato.
Cambiando immagine: hai uno zaino sullo spalle caricato di tutte le cose brutte e insoddisfacenti e ti pesa un casino sulle spalle. Prova a immaginare, ora, qualcosa che supporta lo zaino da sotto: lo zaino pesa uguale, lo hai comunque sulle spalle, ma la percezione è diversa. Ecco, possiamo provare così.
Certo che ci sono le cose che mancano e non ce le dimentichiamo mica, eh? Guai! Dobbiamo prendercene cura! Ma possiamo farlo meglio, se quel peso è bilanciato, sostenuto. Curiamo le cose negative (anche) prendendoci cura delle cose belle, trovando un pizzico di meraviglia nella spazzatura.
E, a tal proposito, è da una settimana che mi frullano nella testa le parole di una mia paziente, poco più grande di te, che si trova in un momento di svolta del percorso:
“Tutto quello che mi interessava era in attesa di di avere una famiglia. Speravo per me cose impossibili, non perché impossibili lo fossero, ma perché speravo in qualcosa di astratto: volevo che le farfalle arrivassero magicamente nel mio giardino. È stata una botta quando sono cadute quelle speranze impossibili, quando mi sono resa conto che non avevo le basi per la famiglia che tanto desideravo. Ma poi mi sono chiesta: ora cosa voglio? E ho imparato a curare il mio giardino. Ho curato il mio giardino e poi le farfalle arriveranno. E quelle farfalle sono passioni, cose piacevoli…non per forza una famiglia. Ora ho imparato a rivolgere le mie speranze a qualcosa di concreto: spero per me cose piacevoli. Prima volevo che le farfalle arrivassero magicamente nel mio giardino, ora curo il mio giardino e poi le farfalle arriveranno”. BUM!
(Le ho chiesto il permesso per pubblicare queste sue parole, parole su sui ci siamo super-commosse, tra l’altro).
Non è stato facile. Ci abbiamo lavorato e son state versate non poche lacrime: quando gli altri si sposano e fanno figli, quando portano avanti la vita che desideri per te, non è facile.
Ma la svolta giunge quando, pur senza dimenticare le cose che ti mancano e ti rendono insoddisfatta, smetti di vivere in attesa.
Forse mi risponderai che lo stai già curando quel giardino, che cerchi di immolarti in un sacco di situazioni potenzialmente interessanti, che hai una lista di hobby da srotolare. E io -scusa la deformazione professionale!- a quel punto di chiederò: “In che modo lo curi il tuo giardino? Con che obiettivo lo curi? lo curi per te, te lo godi (il godere è sempre centrale, ricorda!) o sei sempre lì che butti un occhio alle farfalle che arrivano da fuori?”. Perché quello è comunque un curarlo in attesa, un curarlo più in un clima di insoddisfazione e di rassegnazione, che di piacevolezza. Ed è un problema. E rimarrà un problema anche se poi la famiglia che desideri dovesse arrivare. Non sai quante persone inciampano lì, anche se in coppia (soprattutto se in coppia e ancor più se hanno poi avuto figli): nel momento in cui quelle farfalle arrivano, si sentono frustrate perché con esse non arrivano la soddisfazione e senso di appagamento che si aspettavano, e come mai? Accade perché, nella maggior parte dei casi, non era quello il punto. La coppia/famiglia erano, sì, desideri, ma un po’ meno centrali di quanto si pensasse, poiché quel desiderio era costruito sulla speranza che partner e figli fossero un punto di arrivo, capace di colmare il senso di insoddisfazione. Ma se non si impara a godere delle cose, se la forma mentis è focalizzata sempre e solo su ciò che manca, allora possono anche lanciarci in giardino la meraviglia che la scambieremo per spazzatura o penseremo non sia meraviglioso abbastanza. Rimarremo in attesa, insoddisfatti. Non sai in quante coppie (spesso, con figli) si ritrova questa dinamica, questa speranza di trovare appagamento che si trova sbattere contro un vicolo cieco. E sentono di soffocare.
E allora che si fa? Smettiamo di desiderare?
Certo che no, ma forse è utile capire (almeno) due cose:
Che bisogno c’è sotto quel desiderio (ciò che manca)
Cosa c’è sull’altro braccio della bilancia: le cose piacevoli/divertenti/godevoli/soddisfacenti che già abitano o possono abitare il mio presente e prossimo futuro
E, quindi, possiamo provare a riflettere insieme su questa tua situazione, a coccolarcela un po’ e poi -solo poi- ad allargare la lente e capire l’altro braccio della bilancia. Mi sono immaginata qualche sassolino, qualche spunto di riflessione e li ho divisi per aree. Spero non ti suoni come un interrogatorio, ma prova a rispondere a queste domande per iscritto e poi a rileggerti, per vedere come ti fanno sentire le risposte scritte nero su bianco.
Sulle aspettative sociali e il confronto con gli altri:
- Se non ci fosse pressione sociale, vivresti la tua situazione con la stessa ansia?- Stai davvero desiderando una relazione o stai cercando di conformarti a un’idea di successo imposta dall’esterno?
- Ti è mai capitato di invidiare qualcuno per la sua vita di coppia, ma poi scoprire che dietro c’erano fatica, compromessi o infelicità?Sulla qualità delle relazioni (per te!):
-Preferiresti stare in una relazione qualsiasi, pur di non essere sola, o desideri una relazione che ti faccia stare bene davvero?
-Hai mai avuto relazioni in cui ti sei sentita sola, nonostante la presenza di un/a partner?
-Come immagini una relazione che ti renda felice? Cosa dovrebbe esserci dentro?
Sulla paura della solitudine:
-Cosa significa per te “restare sola”? È davvero qualcosa di definitivo o una fase della vita?
-Quali aspetti della tua vita oggi ti danno senso di pienezza, al di là della presenza di un/a partner?
-In che modo puoi trasformare la solitudine in uno spazio di crescita e scoperta personale?
Sul valore del tuo percorso:
- Quali sono le esperienze che hai vissuto grazie al fatto di non essere in una relazione stabile?
-Se guardassi la tua vita con gli occhi di un estraneo, cosa vedresti di bello e realizzato in ciò che hai costruito finora?
- Sei davvero “indietro” o semplicemente hai un percorso diverso da quello che ti aspettavi?
Sul vivere il presente:
-Al netto delle cose che non vanno, quali sono le cose belle/soddisfacenti/meravigliose nella tua quotidianità?
-Se oggi non dovessi più preoccuparti del futuro, cosa faresti per rendere la tua vita più appagante?
-Ci sono desideri, passioni o esperienze che hai messo in pausa in attesa di una relazione? (“Tutto quello che mi interessava era in attesa di di avere una famiglia”)
-Come puoi iniziare a costruire una vita che ti faccia stare bene indipendentemente da chi c’è accanto a te?
Un’altra riflessione che penso possa essere utile è questa: cosa ti rende serena e appagata al di là della relazione? Se tutta la nostra serenità dipende dalla presenza di un partner, il rischio è di caricare la relazione di aspettative eccessive. Trovare il proprio equilibrio, coltivare passioni, amicizie, interessi e un senso di pienezza personale aiuta non solo a vivere meglio il presente, ma anche a entrare in una futura relazione in modo più consapevole.
Infine, voglio rassicurarti su un punto: essere soli oggi non significa esserlo per sempre. Lo so che per la questione “avere figli” c’è un orologio biologico che preme sulla spalla, ma nel frattempo, invece di vivere questa fase come un “tempo sospeso”, una vita in attesa, puoi provare a chiederti: come posso rendere il mio presente un posto in cui sto bene?
Ti mando un abbraccio!
P.s. Dai uno sguardo alla serie “Envidiosa” su Netflix. Ne abbiamo parlato qui, agganciandoci proprio al tema della tua lettera:
—
E tu, caro lettore o cara lettrice, come vivi la faccenda delle relazioni? Ti senti soddisfatta/o delle relazioni che hai? Ma, soprattutto, cosa ti fa sentire a casa?
Come sempre, se ti va di condividere qualche riflessione, son qui!
GLI ULTIMI EPISODI DEL PODCAST "TV THERAPY"
Ve li linko qui sotto, così non dovete stressarvi a cercarli:
Domani uscirà un episodio sulle relazioni sane: quali sono? Come le distinguiamo da quelle disfunzionali? Anche perché oggi sembra tutto disfunzionale…
Ogni tanto i pazienti mi raccontano di trovarsi in un’impasse: lamentano di non avere tempo libero, ma quando lo hanno rimangono a girare su sé stessi, come fosse difficile trovare idee per impiegarlo. In tutta onestà, capita spesso anche a me.
Quando trovo un’idea carina in giro, la segno in una apposita nota dello smartphone, che è una sorta di lista delle cose che mi piacerebbe fare o che anelo a fare, nei periodi in cui mi sento piena. Ai pazienti, suggerisco di farlo anche fisicamente: un barattolo in cui inserire tutte le idee delle cose che vorrebbero fare e di estrarre un bigliettino ogni volta in cui ne hanno occasione.
Ecco, in questo spazio sottostante, raccolgo le idee di cose fatte, viste, ascoltate nel corso del mese ed eventualmente qualche appuntamento interessante per i mesi successivi. Se ti va, puoi pescare da qui per i tuoi piccoli grandi momenti di respiro.
Poiché la newsletter è in pausa da maggio, le cose viste, lette e ascoltate sono ovviamente moltissime. Ho cercato di fare una selezione.
📚 Non ho letto granché, perché ho una serie di corsi e libri specialistici all’attivo e molto del tempo libero è andato (piacevolmente) lì.
🎧 Right or Strong di Francesco Tassi. Un podcast che parla di scelte, della difficoltà di scegliere e di come poi quelle scelte le facciamo. Ogni puntata è accompagnata da un esperto che ci racconta cosa succede nel nostro corpo quando attuiamo una scelta e ci dà qualche spunto partendo da come gli altri facciano le proprie scelte.
I podcast sempre in ascolto: Globo (Eugenio Cau mi insegna a capire il mondo e io lo consiglio a chiunque: per quanto racconti cose terribili, è sempre tranquillizzante proprio perché permette di capire e di avere lungimiranza…poi la voce: uno Xanax vivente!), Morning, Ci vuole una scienza, Rame, Ma perché? .
…e quelli spesso in ascolto: The essential, Stories, Il podcast di Odifreddi, Qui si fa l’Italia, Start, Globally, Un pasto alla volta, Mitologia: le meravigliose storie del mondo
📺 M. Il Figlio del secolo (su Sky e Now). Notoriamente, sono una che non guarda serie violente, quindi mi sono immolata per la causa (l’episodio del podcast) e… non mi sono per nulla scomposta. Probabilmente, non avrei scelto di guardarla in autonomia e non tanto per la violenza (che, comunque, non è tra le peggiori viste sullo schermo, per quanto tragica sia, trattandosi di realtà), quanto perché non l’ho trovata avvincente, ma merita per il racconto, per la fotografia, per il riportare alla memoria cose dimenticate e recuperare ciò che non si era appreso.
📺 Envidiosa2 (Netflix). Super in linea con il tema della newsletter di questo mese, perché parla di una donna tra i 30 e i 40 anni che si trova a invidiare la vita che le altre portano avanti, mentre lei sembra rimanere ferma. È un percorso -divertente e non così scontato-alla scoperta delle famose farfalle che, se aspettiamo arrivino magicamente, poi rischiano di essere quelle sbagliate.
📺 Nobody wants this. Carina, leggera ma non superficiale, godibile. L’abbiamo usata per l’episodio del podcast che uscirà domani (straordinariamente di venerdì, in occasione di San Valentino) e l’abbiamo usata per parlare delle fantomatiche relazioni sane, che non sono punti di partenza ma nemmeno veri e propri punti di arrivo. E quindi quali sono le relazioni sane? Cosa è disfunzionale? Sullo schermo quali tipi di relazioni dovremmo vedere?
Per info e iscrizioni:
💌 info@centroilfico.com
☎️ 375 550 4163 (anche WhatsApp)
E per questo mese è tutto. Ci risentiamo il 13 marzo con la prossima newsletter con non stressa!
Ho avuto questo pensiero per molto molto tempo. Mi ha quasi soffocata. Avevo un compagno, ero ossessionata dal dover corrispondere a certe tappe che pensavo fossero il passaporto per la felicità, ma contemporaneamente ero come gelata in alcune scelte che non riuscivo a prendere. Ora che ho 40 anni e non ho più un compagno, ho trovato la risposta: quel sogno - quello che sembra così importante - non era quello che volevo. Sì, non lo volevo davvero. "Forse lo vorrò in futuro, rimarrò fregata" mi dicevo. Ma non si baratta l'oggi per il domani.
Non so se può essere di aiuto, ma per me il turning point (raggiunto in analisi, ché certa roba non è fatta per essere masticata da soli) è stato accorgermi che anche questi temi erano stati fagocitati dal mio meccanismo di funzionamento.
"C’è stato un giorno in cui, improvvisamente, mi sono resa conto che la mancanza di amore nella mia vita non era la realtà, ma una povertà di immaginazione” scrive Tippet, e adesso comincio a capire che cosa volesse dire.
L'augurio è di trovare nello sconforto la voglia di aprire la voragine che c'è sotto.
Perché “paura”?